XII. La psicopatologia del primo periodo (1890-1897)(Vol. I pp. 328-347) |
A partire dal 1890 Freud dovette rinunciare per alcuni anni a qualunque lavoro di laboratorio in istologia nervosa. D'altra parte la neurologia clinica non dovette mai interessarlo veramente, sebbene fosse divenuto un neurologo competente. Per fortuna la pratica privata, sulla quale doveva contare per vivere, gli procurava, come sempre avviene, molti pazienti nevrotici : i problemi che essi presentavano risvegliarono ben presto la sua attenzione, e attirarono il suo interesse ogni giorno di più. È vero che la posizione ufficiale di Freud come capo del reparto neurologico dell'Istituto Kassowitz l'obbligava a svolgere un certo lavoro di ricerche in quel campo, e che le sue pubblicazioni sulle paralisi infantili, tra il 1891 e il 1897, rappresentano validi contributi alle nostre conoscenze sull'argomento, ma in realtà egli non ebbe mai troppa passione per quell'attività, che anzi col passare del tempo gli divenne sempre più antipatica. In un certo senso Freud non considerò mai «scientifica» la neurologia clinica, e sperò sempre di poter tornare al suo vero lavoro «scientifico». Ciò che intendesse esattamente con questa parola non è sempre chiaro, ma è certo comunque che secondo lui l'anatomia del cervello occupava un posto molto elevato. «Scientifico» non significava solo «ricerca originale», ma qualcosa di più fondamentale, probabilmente qualunque ricerca che potesse gettar luce sulla natura umana, sui rapporti tra corpo e mente e sul modo in cui l'uomo è pervenuto allo stato di animale cosciente. L'unico lavoro neurologico di cui Freud aveva un buon concetto era quello sull'afasia, e poiché il linguaggio è l'unica funzione che possa far intravvedere un legame tra mente e cervello (dopo che Broca ne scoprì la localizzazione nel lobo frontale) si può ben comprendere l'interesse particolare di cui Freud lo circondava. Il suo atteggiamento in proposito risulta da una lettera scritta a Fliess il 21 maggio 1894: «Nel tentativo di chiarire le nevrosi mi trovo isolato. I colleghi mi considerano una specie di monomaniaco, e invece io ho la precisa sensazione di aver sfiorato uno dei grandi segreti della natura. È strano vedere che differenza passa tra la propria e l'altrui valutazione del proprio lavoro intellettuale. Guarda per esempio il mio libro sulle diplegie, che ho buttato giù senza interesse e senza amore, quasi di cattivo umore : ha avuto un successo enorme. Le recensioni lo lodano moltissimo, e quelle francesi in particolare sono piene di elogi. Proprio oggi ho visto un libro di Raymond, il successore di Charcot, che nel capitolo sull'argomento non fa altro che riportare il mio lavoro, naturalmente con un giudizio elogiativo. Invece per le cose veramente buone, come il libro sull'afasia, il lavoro sulle ossessioni che sta per uscire e il saggio sulla Etiologia e teoria delle nevrosi non mi aspetto niente di più di un rispettabile fiasco. Tutto ciò mi lascia perplesso e un po' amareggiato.» A differenza della neurologia, la psicopatologia clinica interessò profondamente Freud. Le osservazioni e i dati che egli raccolse in quel campo costituivano di per sé problemi affascinanti, eppure, per quanto grande, quella passione rimase subordinata al disegno più grandioso di formulare una teoria generale delle manifestazioni nevrotiche. Si comprende quindi che a sua volta Freud si sia immerso, come fece, nel loro studio, con la speranza di gettar luce sulla struttura e sul funzionamento della mente in generale. In questo sta la vera genialità. Mentre gli altri consideravano, e considerano ancora, le nevrosi come semplici anomalie, come malattie che traducono una deviazione dalla norma, Freud deve essersi reso conto molto presto che esse non rappresentavano altro che un tipo di funzionamento psichico, e per di più che permettono di raggiungere gli strati profondi della «mente», cioè di tutte le menti. Egli capì che la psicopatologia sarebbe diventata una via d'attacco per la psicologia in generale, e forse la più proficua. In uno dei suoi lavori del 1896 usò addirittura l'espressione «la futura psicologia delle nevrosi», per definire quella psicologia «che i filosofi hanno tanto poco contribuito a preparare» Sedici anni dopo Wilhelm Specht coniò un termine equivalente e fondò la «Zeitschrift für Pathopsychologie», che purtroppo ebbe vita breve. Questo periodico non riguardava la psicopatologia, cioè lo studio delle manifestazioni morbose fine a se stesso, ma la psicologia fondata sulle acquisizioni derivanti dallo studio dei fatti morbosi. La psicoanalisi, che Bleuler chiamò in seguito «psicologia del profondo», era destinata nel suo aspetto teorico a proporsi questa meta ambiziosa, come vedremo nel capitolo XVII. Negli anni successivi gli oppositori di Freud non si stancarono di additare il fatto che l'origine stessa delle sue acquisizioni inficiava la loro generalizzazione. Come si poteva dedurre dagli stati di anormalità e di «malattia» qualcosa che fosse valido per la mente? A parte la difficoltà di trovare questi famosi individui normali e con la testa a posto - giacché ognuno presenta reazioni nevrotiche alla vita o cicatrici riportate nel tentativo di controllare le reazioni stesse -, ciò che tali critici non riescono a capire è il fatto che le reazioni nevrotiche, una volta analizzate, risultano più vicine alla base originaria dello sviluppo mentale di quanto lo siano i punti estremi della cosiddetta «normalità». Freud stesso nei suoi Studi sull'isterismo ha rintuzzato sul nascere questa obiezione : «In questo lavoro bisogna naturalmente liberarsi in modo assoluto dal preconcetto teorico di avere a che fare con cervelli anormali di degenerati o déséquilibrés, caratterizzati da una particolare insufficienza, la facilità, cioè, di mettere da parte le comuni leggi psicologiche dell'associazione delle idee tra loro, oppure cervelli nei quali un'idea qualsiasi può assumere senza alcun motivo un'intensità sproporzionata, e un'altra invece restare indistruttibile pur senza alcuna ragione psicologica. L'esperienza dimostra che nell'isterismo è vero l'inverso: una volta scoperti e presi in considerazione i motivi nascosti - che spesso restano inconsci - non rimane niente di enigmatico o di arbitrario nelle associazioni dei pensieri degli isterici.» Neil'Interpretazione dei sogni Freud fornì un altro argomento convincente, basato sulla spiccata somiglianza tra la struttura essenziale dei sogni e quella delle nevrosi : «Vediamo dunque che il meccanismo psichico messo in opera dalle nevrosi non si realizza perché preesiste un disturbo morboso a carico della mente, ma è già presente nella struttura normale dell'apparato mentale. I due sistemi psichici, la censura che si trova nel punto di passaggio fra loro, il modo in cui una delle due attività inibisce o si sovrappone all'altra, i rapporti di entrambe con la coscienza: tutto ciò appartiene alla struttura normale del nostro strumento mentale, ed i sogni ci indicano una delle vie che conducono alla conoscenza di tale struttura.» L'atteggiamento di Freud nei confronti della sessualità getta ulteriore luce sui suoi interessi fondamentali e sui motivi che lo spinsero avanti nelle sue ricerche, luce che chiarisce anche meglio le considerazioni precedenti. Da un lato non c'è dubbio che egli si fosse molto eccitato nello scoprire che i fattori sessuali svolgono un ruolo essenziale nel determinismo delle nevrosi - sottolineo «essenziale» perché il ruolo di fattori occasionali è stato frequentemente ammesso - e che una delle sue ambizioni principali fosse quella di completare nei minimi particolari la sua teoria della libido per spiegare le nevrosi. D'altro lato però le sue descrizioni delle attività sessuali sono puri elenchi di fatti, al punto che molti lettori le hanno trovate quasi aride e totalmente mancanti di vita. Per quanto sapevo di lui, direi che Freud metteva un interesse personale minore della norma in quello che rappresenta spesso un argomento allettante : egli non provava nessun piacere e nessun gusto a parlare di questioni sessuali. Si sarebbe anzi trovato fuori posto nelle sale dei soliti club, perché raccontava storielle sporche assai di rado, e comunque solo quando si prestavano come esempio di un'asserzione più generale. Freud ha sempre dato l'impressione di una serietà fuori del comune - non sarebbe esagerato definirla «puritana» - e tutto quello che sappiamo del primo periodo della sua evoluzione conferma questo modo di vedere. Si può quindi ben comprendere la sua sorpresa quasi ingenua nel vedere quale fredda accoglienza facesse seguito all'annuncio delle sue scoperte. «Dapprima non avevo capito la particolare natura di ciò che avevo scoperto. Senza neanche pensarci, sacrificai la mia fama di medico a questo principio, e con le mie inchieste circa l'azione dei fattori sessuali nell'eziologia delle nevrosi mi preclusi lo sviluppo di una numerosa clientela privata di malati di nervi; ne ricavai però un gran numero di fatti nuovi, che confermarono esattamente la mia convinzione dell'importanza pratica del fattore sessuale. In tutta buona fede parlai davanti alla Società di Neurologia di Vienna, allora presieduta da Krafft-Ebing, aspettandomi di risvegliare l'interesse ed il riconoscimento dei miei colleghi per le perdite materiali cui ero andato volontariamente incontro. Trattai le mie scoperte come normali contributi scientifici e speravo di venire abbordato nello stesso spirito, ma il silenzio con cui furono accolte le mie affermazioni, il vuoto che si formò intorno a me, le insinuazioni che mi giunsero, mi fecero capire a poco a poco che non si poteva pretendere che le opinioni sul ruolo della sessualità nell'etiologia delle nevrosi venissero accolte alla stessa stregua di rivelazioni d'altro genere. Mi resi conto che da allora in poi avrei fatto parte di coloro che "hanno rubato i sonni del mondo", come dice Hebbel, e che non avrei potuto fare assegnamento sull'obiettività e la tolleranza. Siccome però la mia sicurezza della precisione di tutte le mie osservazioni e conclusioni s'accresceva sempre più, e poiché la mia fiducia nel mio proprio giudizio non era certo piccola, e comunque maggiore del mio coraggio morale, non potevo aver dubbi sugli sviluppi della situazione. Conclusi che ero stato fortunato a scoprire concetti tanto importanti, e mi preparai ad accettare il destino che talvolta accompagna simili scoperte.» Com'è possibile spiegare una simile contraddizione? Si potrebbe azzardare l'ipotesi che l'interesse di Freud per le attività sessuali, così come quello per i disturbi del linguaggio, derivasse dal fatto che la sessualità è fatta di componenti fisiche e psichiche altrettanto evidenti. Il concetto di libido è insomma psichico o fisico nella sua origine? Ecco un altro aspetto dell'enigma dei rapporti tra corpo e mente, e della trasformazione della psicologia in una disciplina biologica o magari fisiologica. È proprio questo aspetto della sua scoperta che interessava maggiormente Freud. Già nel primo anno o due di pratica, cioè ai primi contatti con i problemi delle nevrosi, Freud cominciò ad appassionarsi all'argomento. Nel 1887 disse che stava progettando una monografia dal titolo Caratteristiche generali delle affezioni isteriche, ambizione indubbiamente notevole per un principiante.'' Nel febbraio successivo accennò al fatto che un primo abbozzo del lavoro era già pronto, invece il libro non fu mai stampato e disgraziatamente Freud non ne conservò nemmeno il manoscritto. Probabilmente si era reso conto di quanto un progetto del genere fosse prematuro. Fliess ha conservato tuttavia un lungo saggio e quattordici manoscritti inviatigli di tanto in tanto da Freud per tenerlo al corrente dei progressi che andava facendo in psicopatologia. Essi sono stati pubblicati tutti e costituiscono un valido complemento alle opere stampate di Freud, in quanto ci permettono di avere un'idea del graduale svolgersi delle sue idee. Già nel lavoro sulle paralisi isteriche, del 1893, si trovano, accanto alle idee di ordine più tecnico-diagnostico, due idee generali di ordine psicopatologico. Quando si usa l'espressione «affezione funzionale della corteccia», come qualche neurologo ancora fa, un patologo immagina una lesione passeggera e localizzata, magari invisibile dopo la morte. Lesioni simili possono essere prodotte dall'edema o dall'anemia, per cui una paralisi isterica di un braccio potrebbe essere determinata ad esempio dall'interessamento centro del braccio, situato in prossimità della scissura di Rolando. Freud combatté una simile idea con energia e chiarezza, e avendo dimostrato che una paralisi isterica differisce nettamente da una paralisi organica per il fatto che la sua distribuzione non rispetta le condizioni anatomiche ma corrisponde al concetto psichico di «braccio», affermò che l'unica spiegazione possibile di tale fatto era questa : il concetto di «braccio» doveva essere stato escluso dal resto della coscienza. Era una questione di interruzione delle associazioni mentali. Nei contributi che seguirono subito dopo, Freud esaminò le ragioni di questo fatto, e suggerì fin da allora che esso fosse dovuto ad una eccessiva saturazione affettiva di qualche idea connessa con quella del braccio, che occupava l'«affinità associativa» di quest'ultima, impedendone così l'accesso alle associazioni coscienti in generale ed alla volontà. Nel suo insieme l'argomento costituisce una vera e propria continuazione dell' «antilocalizzazione» sostenuta da Freud nel libro sull'afasia. Nel corso di quello stesso anno era già comparsa la comunicazione preliminare scritta in collaborazione con Breuer, che contiene la ben nota affermazione che «i pazienti isterici soffrono sopra tutto per le reminiscenze». Si continua a sostenere l'idea - desunta da Charcot - che un trauma psichico determini i sintomi isterici, ma si precisa che la causa efficiente non è il trauma in sé, ma il suo ricordo. Il trauma non è un fattore scatenante o precipitante, ma ricorda piuttosto - nella sua traccia mnemonica - un corpo estraneo che continui ad irritare la mente. Negli Studi sull'isterismo Freud corresse poi tale analogia : «L'organizzazione patogena non si comporta proprio come un corpo estraneo, ma piuttosto come un infiltrato, e in tale paragone la resistenza corrisponde al materiale infiltrante. La terapia quindi non consiste nell'asportare qualcosa - in quanto ormai è impossibile - ma nell'eliminare la resistenza e aprire così una strada alla circolazione in un territorio finora vietato.» In seguito Freud colse anche un certo numero di analogie fra psicoterapia e chirurgia. Tutti questi concetti sono legati agli esperimenti pratici di catarsi di Freud e di Breuer. Binet aveva già osservato che la terapia suggestiva è più efficace quando l'attenzione del paziente viene fatta convergere sul momento in cui il sintomo ha fatto la sua prima apparizione, ma prima di Breuer nessuno aveva messo in rapporto questa rievocazione con il fenomeno della abreazione. Negli Studi sull'isterismo gli autori sottolineavano che la semplice riesumazione del ricordo, priva di abreazione affettiva, è di scarso valore terapeutico, e si addentravano nella discussione della natura e del significato di tale abreazione. A meno che vi sia qualche ostacolo, il disturbo psichico arrecato dal trauma può essere eliminato sia per riassorbimento totale nell'intero complesso delle associazioni mentali, che per la via ben nota delle emozioni «di sfogo» (collera, pianto, ecc.) Una simile scarica della carica affettiva può essere impedita in due circostanze: 1. la situazione sociale può rendere impossibile l'espressione dell'emozione, oppure il trauma può essere connesso a qualcosa di talmente spiacevole per l'individuo che egli può averlo volontariamente «represso», è questa la prima volta che Freud adopera nei suoi scritti la parola verdrängt che oggi ha assunto un significato più tecnico. Il trauma in se stesso viene definito come una paura, vergogna o dolore psichico; 2. il trauma può essersi verificato durante uno di quegli stati di astrazione mentale per cui Breuer aveva coniato il termine «ipnoide», e che secondo lui erano caratterizzati da un'intensa attività fantastica accompagnata da dolore o da pensieri sessuali. Nel lavoro in collaborazione Freud aveva approvato un po' a malincuore l'affermazione che «l'esistenza di stati ipnoidi è la base e la condizione per l'isterismo», ma con il passare del tempo i suoi dubbi su questo punto aumentarono sempre più e, nel suo capitolo dedicato alla psicoterapia negli Studi (scritto due anni dopo) egli espresse l'opinione che un meccanismo di difesa (rimozione) preceda ciascuno di tali stati. Un anno dopo egli ripudiò nettamente il concetto che a partire dal 1900 era diventato «quella disgraziata idea che mi è stata imposta» e l'anno dopo «un'idea superflua e sbagliata». Infine essa fu completamente sostituita dalla sua teoria della «difesa» (rimozione). Il concetto degli stati oniroidi di Breuer era derivato evidentemente dalla psichiatria francese, dove tanto si era lavorato sull'ipnosi e dove era diventato normale spiegare l'isterismo con una tendenza congenita alla dissociazione della coscienza. Breuer, a quanto pare, aveva inizialmente approvato questa idea, respingendo però energicamente la spiegazione semplicistica datane da Janet. A questo punto diventa necessario conoscere meglio i contributi che Breuer dette alla psicopatologia. Nel capitolo sulla Teoria da lui scritto per gli Studi si nota quale importanza fondamentale egli attribuiva all'idea che la base dell'isterismo fosse costituita da un'eccitabilità anormale del sistema nervoso, per cui un eccesso di energia libera, non potendo essere utilizzata, diventava passibile di conversione nei sintomi somatici. Breuer descriveva chiaramente la natura regressiva delle allucinazioni, attribuendone l'intensità e la qualità spiccatamente oggettiva ad una eccitazione del sistema percettivo derivante da tracce mnemoniche. Questo è uno dei due sensi nei quali Freud usò in seguito il termine «regressione» sviluppandolo poi in modo particolare in rapporto ai processi onirici. Breuer non concordava con Moebius sul fatto che tutti i sintomi isterici hanno un'origine psicogena, e citava come altrettante eccezioni i disturbi vasomotori e cutanei. Fu lui che introdusse il termine bewusstseinsunfähig (inammissibile per la coscienza) che è stato da allora largamente impiegato in psico-analisi per designare quelle idee che, pur possedendo un'intensa carica affettiva, non riescono ad entrare nella coscienza (in realtà proprio a causa dell'emozione, e non suo malgrado). Breuer chiama tali idee «inconsce» e definisce sprezzantemente «giuochi di parole» le discussioni sul significato di questo termine. Il suo punto di vista, comunque, è assolutamente fisiologico, e infatti egli descrive il funzionamento psichico nei termini di una complessa riflessologia, senza accennare minimamente agli aspetti volitivi e finalistici sottolineati da Freud. La Comunicazione preliminare, proprio come suggerisce il suo titolo, tenta di descrivere brevemente il meccanismo dei sintomi isterici, prescindendo dalle cause più profonde della malattia. Del resto, meno di tre anni dopo, in una lettera a Fliess, Freud dice che riteneva di «poter curare non solo i sintomi isterici, ma anche la predisposizione all'isterismo» e questo gli dava una certa soddisfazione: non aveva vissuto quarantanni invano. In realtà già prima, in una conferenza sull'isterismo tenuta il 28 ottobre 1895 al Wiener medizinische Doktorenkollegium, Freud aveva esposto le ragioni per cui riteneva possibile una cosa del genere. Egli aveva spiegato che solo le rimozioni esercitate dopo la pubertà sono tali da innestarsi su quelle della prima infanzia, non essendone altrimenti possibili di nuove. Perciò qualora le precedenti venissero debitamente risolte, la nevrosi sarebbe stata definitivamente scongiurata. Freud si concedeva addirittura questa immaginosa allegoria: «Si ha l'impressione di un demone che lotti per non esser trascinato alla luce del giorno, sapendo che essa segnerebbe la sua fine.» I due abbozzi della Comunicazione preliminare scritti da Freud più o meno in collaborazione con Breuer contengono in forma più schematica le stesse idee fondamentali, e cioè quella del trauma psichico, il cui ricordo ha effetto patogeno, e quella dell'esclusione della coscienza. Prima di sviluppare gli abbozzi, però, Freud aveva pubblicato nel commento di una delle opere di Charcot da lui tradotte la prima nota assoluta di una nuova teoria sui sintomi isterici. Il passo seguente è particolarmente significativo: «Io [sic] ho tentato di abbordare il problema delle crisi isteriche in modo diverso da quello puramente descrittivo, e, dall'esame di pazienti isterici sotto ipnosi, ho ottenuto nuovi risultati che posso esporre in parte qui : il nucleo dell'attacco isterico, in qualunque forma esso si presenti, è un ricordo, cioè è fatta rivivere su un piano allucinatorio una scena che ebbe un certo significato nel determinare la malattia. Questo processo, che diventa evidente nella fase definita attitudes passionelles, è presente anche quando l'attacco sembra consistere esclusivamente in fenomeni motori. Il contenuto del ricordo è di solito il trauma psichico, sia esso di un'intensità tale da essere ritenuto dal paziente sufficiente a determinare l'attacco isterico, sia esso un evento divenuto traumatico per il fatto di essere accaduto in un momento particolare. Nei casi di isterismo cosiddetto "traumatico" questo meccanismo colpisce anche l'osservatore più superficiale, tuttavia esso può essere messo in evidenza pure nei casi di isterismo in cui non vi fu nessun trauma rilevante isolato. In tali casi si trova una serie di traumi minori o anche di ricordi, spesso di per sé indifferenti, ma resi traumatici dall'intensità del fattore predisponente. Un trauma può esser definito come un aumento di eccitazione nell'ambito del sistema nervoso, che quest'ultimo non riesce ad impiegare in reazioni motorie. L'attacco isterico va forse considerato come un tentativo di completare la reazione del trauma.» Questo è un esempio dell'entusiasmo con cui Freud avrebbe poi sostenuto «la somma delle eccitazioni», concetto preso evidentemente a prestito dalla fisiologia. Egli lo espresse anche in un'altra frase: «i sintomi sono iperdeterminati». È bene rendersi conto non solo del fatto che Freud si interessava alla psicopatologia perché questa gli avrebbe offerto nuove vie d'accesso alla psicologia, ma anche del fatto che le sue teorie psicopatologiche furono intessute fin dagli inizi di princìpi generali e di assunti di ordine psicologico. Questo risulta chiaramente dal «Manoscritto D» (primavera del 1894) della corrispondenza con Fliess, nel quale il meccanismo delle nevrosi è intravvisto nei termini della «teoria della costanza» applicata sia alla psiche che al cervello. L'esposizione delle teorie psicopatologiche freudiane avrà perciò da guadagnare in profondità dalla discussione dei princìpi generali di psicologia di Freud, contenuta nel capitolo XVII. Della dozzina di contributi che egli pubblicò negli anni 1893-1898 ve ne sono tre particolarmente importanti per lo sviluppo della sua psicopatologia, ai quali limiteremo il nostro esame. Si tratta di due lavori sulle Neuropsicosi di difesa e di uno sulla Etiologia dell'isterismo. Nel primo, pubblicato l'anno prima degli Studi sull'isterismo, Freud pensava ancora che esistessero tre forme d'isterismo, e cioè la forma di difesa, quella ipnoide e quella di ritenzione. Alla prima forma, che era destinata a restare ben presto l'unica, egli attribuiva già allora l'importanza maggiore. Lo scopo della difesa nei riguardi dell'idea spiacevole - processo che Freud chiamò in seguito «rimozione» - era quello di indebolirla spogliandola della sua componente affettiva, e veniva realizzato convogliando l'energia affettiva in correnti somatiche. Freud propose il termine «conversione» per definire questo processo. Anche così però la «traccia mnemonica» del trauma resta isolata dal resto della psiche, e può costituire il nucleo di un sistema secondario. L'affettività deviata può però, in qualche occasione, ritornare dall'innervazione somatica all'idea cui era stata in un primo tempo connessa, e in tal caso il risultato può essere quello di un attacco isterico. Freud spiegava le ragioni per cui respingeva la teoria di Janet che considerava l'isterismo come una inferiorità mentale congenita tale da facilitare la dissociazione della coscienza, e approvava il concetto di Strümpell, per cui «nell'isterismo il disturbo sta nella sfera psicopatologica, dove corpo e mente sono legati l'uno all'altra». Nell'interpretare i sintomi isterici come effetto dell'innervazione somatica disturbata dalla dissociazione della coscienza, cioè come effetto della «conversione» dell'energia affettiva, Freud deve essersi sentito del tutto a suo agio nel rapporto, previsto dalla sua teoria, tra fisiologia e psicologia. Sembra probabile che egli abbia derivato il concetto di «conversione» dalla sua ricerca di sette anni prima sulla natura delle paralisi isteriche. Infatti la principale conclusione di quel lavoro era che le paralisi isteriche fossero il risultato di idee piuttosto che di lesioni anatomiche : in altre parole, la manifestazione somatica ricopriva qualcosa di psichico. Nei soggetti non predisposti alla deviazione somatica dell'affettività, la difesa contro l'idea spiacevole fa sì che l'affettività venga spostata da quest'ultima a qualche altra idea indirettamente associata, ma più tollerabile, che a sua volta viene investita da una carica affettiva sproporzionata. Anche qui Freud usava le parole «dislocato» e «trasposto» per «spostato». Questo è il meccanismo delle ossessioni. Quando infine l'idea spiacevole è inscindibilmente legata alla realtà esterna, la difesa contro di essa può avere come risultato una negazione della realtà, come per esempio una psicosi allucinatoria. In uno dei suoi lavori in francese, Freud richiamava l'attenzione sul fatto che nelle psiconevrosi l'effetto di un ricordo è superiore a quello dell'evento traumatico stesso. L'unico equivalente psicologico di questo fenomeno potrebbe essere l'esempio di un'esperienza sessuale prepuberale risvegliata dopo la pubertà. Gli altri due lavori, apparsi entrambi dopo due anni (1896), dimostrano un notevole perfezionamento della costruzione teorica di Freud. Egli si sta ora avvicinando al massimo delle sue possibilità, sebbene manchino ancora uno o due anni alle sue scoperte più importanti. Nelle Ulteriori osservazioni sulle neuropsicosi di difesa, si afferma fin dalle prime pagine che la «difesa» è «il nucleo del meccanismo psichico» della psiconevrosi, e si comincia a chiamarla «rimozione». I due termini sono usati alternativamente, perché è solo dopo alcuni anni che Freud studierà o magari si renderà conto dell'esistenza di varie altre difese oltre alla rimozione. E' a proposito della nevrosi ossessiva che troviamo qui le conclusioni più originali. Freud comincia semplicemente con questa frase : «Le idee ossessive sono invariabilmente rimorsi che dopo la loro rimozione riemergono in forma diversa e che si riferiscono sempre a qualche atto sessuale piacevole compiuto nell'infanzia.» Quindi egli descrive classicamente lo sviluppo dei fenomeni. Nel primo periodo non si sa bene che cosa accada. Nel secondo, all'inizio della «maturità» sessuale (psichica), che è spesso precoce (dagli otto ai nove anni) non vi è nessun rimorso circa il ricordo degli atti (originariamente piacevoli), ma si sviluppa un sintomo di difesa primario: scrupolosità in genere, vergogna, sfiducia in se stessi, insomma quelle che chiameremmo oggi «difese caratteriali». Il terzo periodo, quello della malattia vera e propria, è caratterizzato dal ritorno dei ricordi rimossi, cioè da una insufficienza della difesa. I ricordi ritrovati ed il rimorso ad essi connesso, però, non si presentano alla coscienza immodificati. L'idea ossessiva e la carica affettiva che prendono il loro posto sono formazioni di compromesso, composte di materiale preso sia dalle idee rimosse che da quelle rimoventi. Qui troviamo dunque, citati per la prima volta, due meccanismi psichici che da allora sono divenuti altrettanti costituenti importanti di ogni teoria psicoanalitica : le nozioni di «formazione di compromesso» e di «ritorno del rimosso». In un manoscritto spedito a Fliess un anno dopo (25 maggio 1897) Freud usò il termine «compromesso-spostamento» e descrisse le varie forme assunte da tale meccanismo in diverse condizioni: nell'isterismo lo spostamento segue una via qualunque di associazione contigua, nella nevrosi ossessiva esso segue la via dell'associazione per somiglianza delle idee, nella paranoia infine segue connessioni causali. A questo stesso proposito notiamo due importanti affermazioni: 1. che la rimozione è effettuata dall'Io, e 2. che non solo la traccia mnemonica originale, ma gli stessi rimorsi, cioè i derivati della coscienza, possono essere rimossi. Per molti anni in psicoanalisi si è tenuto scarso conto di quest'ultima considerazione, e ci si è preoccupati di scoprire il contenuto sessuale delle idee rimosse. Non può sorprendere perciò che per molto tempo il pubblico abbia creduto che l'inconscio, secondo la psicoanalisi, sia pieno di idee sessuali, vera cloaca di nefandezze. Fu solo quando Freud studiò il super-Io, un quarto di secolo più tardi, che l'equilibrio fu ristabilito : allora si potè dire che l'inconscio conteneva sia gli elementi umani «più alti» che i «più bassi». Nella nevrosi ossessiva vanno distinte due forme primarie : una in cui il rimorso, spostato dalla sua idea originale, converge su un'altra, associata, e di contenuto non più sessuale; un'altra in cui la carica affettiva del rimorso stesso si è trasformata in qualche altro tipo di affettività, in genere in angoscia morbosa. Freud elenca una serie di questo secondo tipo di forme. Una terza forma di nevrosi ossessiva è caratterizzata da sintomi di difesa secondari, cioè da misure protettive di vario tipo che, quando sono efficaci, assumono l'aspetto di coazioni. Ne risultano allora azioni ossessive, apo-tropaiche. II lavoro in questione terminava con un elenco delle analogie e delle differenze tra i meccanismi della paranoia e quelli della nevrosi ossessiva, che costituiva l'esordio di Freud nel campo delle psicosi. Dopo aver dichiarato di avere studiato molti altri casi del genere, Freud analizzava dettagliatamente un caso di paranoia cronica in una donna di trentadue anni. Egli insisteva più di tutto sul fatto che il rapporto tra sintomi e pensieri rimossi era così evidente da giustificare il tentativo di interpretare tali casi come «neuropsicosi di difesa». Usava il termine «proiezione» per designare il meccanismo psicologico più caratteristico della paranoia e spiegava perché questa affezione, a differenza della nevrosi ossessiva, non metta in opera difese secondarie. Il motivo è questo : l'Io non può più proteggere se stesso, ma è costretto a modificarsi per accettare i sintomi determinati dal «ritorno del rimosso», che costituiscono i deliri. Freud suggeriva inoltre che l'apparente debolezza della memoria in tali casi non è un processo distruttivo, ma è funzionale, e determinato dalla rimozione. In una lettera a Fliess (2 novembre 1896) egli espresse il suo divertimento per «la reazione alla mia intrusione nella psichiatria». Rieger di Würzburg, in una recensione del lavoro per gli «Jahrbücher für Psychiatrie» aveva scritto che «nessuno psichiatra può leggerlo senza rabbrividire». Quanto alla parte sulla paranoia, «quel genere di cose non può portare ad altro che ad una psichiatria da donnette, semplicemente orribile». Freud aveva anche tentato, senza molto successo, di spiegare la genesi della melancolia, che non fu mai pubblicato e che ci è noto solo da una lettera del gennaio 1895. Egli divideva la melancolia in tre gruppi : la vera melancolia di tipo periodico o circolare, la melancolia nevrastenica (connessa con la masturbazione) e la melancolia associata a grave ansia. Oggigiorno queste ultime due sarebbero chiamate semplicemente depressioni. Egli fu colpito dal rapporto con il dolore - che in seguito avrebbe vantaggiosamente approfondito - e perciò definì la melancolia come un dolore per qualche perdita - probabilmente di libido. Insistette pure sullo stretto rapporto esistente tra l'anestesia sessuale e la «melancolia». La spiegazione che ne dette era in parte di ordine fisiologico : quando la libido diminuisce d'intensità, una corrispondente dose di energie viene ritirata dai «neuroni» associati. Quindi la sofferenza della melancolia è dovuta al dissolversi delle associazioni. A quell'epoca Freud non era ancora soddisfatto della base teorica della rimozione. Per esempio egli si chiese perché essa venga esercitata solo verso le idee sessuali (asserzione che risultò poi piuttosto dubbia), e tentò di spiegarlo supponendo che le esperienze sessuali della prima infanzia non abbiano il valore affettivo che esse hanno invece dopo la pubertà (molto dubbio anche questo). È il successivo ricordo di esse, rinforzato dalle più forti emozioni che seguono la pubertà, che viene rimosso. Freud aggiungeva : «Un rapporto inverso di questo genere tra esperienza reale e ricordo sembra la condizione psicologica della rimozione.»'" Non s'ingannava però in questa affermazione: «La rimozione del ricordo di un'esperienza sessuale spiacevole negli anni della maturità è possibile solo per coloro nei quali tale esperienza può riattivare la traccia mnemonica di un trauma infantile.» Come s'è detto, il concetto di rimozione si originò in Freud come semplice supposizione, dall'aver osservato gli sforzi fatti dai pazienti per «resistere» alla rievocazione di ricordi sepolti : l'una cosa è l'inverso dell'altra. È però possibile che l'insoddisfazione di Freud per la base teorica del concetto derivasse dal suo vecchio desiderio di fondere le concezioni fisiologiche con quelle psicologiche. Dopo tutto, il concetto fisiologico di «inibizione», che anni dopo egli commentò estesamente in termini psicologici, non è del tutto remoto da quello di rimozione. La differenza principale sta nel fatto che nel primo l'accento sta sul freno di una funzione, mentre nel secondo esso sta sulla dissociazione di essa, pur essendone conservata l'attività. Lo stesso Meynert, maestro di Freud, aveva fatto un tentativo piuttosto buffo di tradurre l'inibizione fisiologica in una terminologia psicologica o addirittura morale. Egli aveva messo la coscienza in rapporto con le attività corticali, e come funzione essa era secondaria a quelli da lui definiti «movimenti riflessi primari» dei centri sottocorticali associati a fame, sete, ecc. Una stava sopra, gli altri sotto, e, mentre la prima rappresentava la parte buona e socievole della natura umana - sviluppo secondario determinato dal fatto che il bambino apprende ad amare le persone che lo circondano -, i secondi rappresentavano invece gli aspetti primitivi dell'umanità, egoistici e asociali. La funzione della corteccia, che Meynert chiamava «Io secondario», inibiva o frenava le attività sottocorticali, l'«Io primario». Con ciò Meynert aveva tradotto in termini fisiologici (e morali) una concezione psicologica di Herbart, le cui teorie lo avevano notevolmente influenzato. Herbart, che aveva usato effettivamente la parola Verdrängung, aveva commentato la nozione di un'idea che ne scaccia un'altra fuori dalla coscienza (senza addurre alcun motivo che potesse spiegarlo) ed aveva insegnato che l'idea espulsa poteva poi influenzare lo stato d'animo cosciente. Negli anni seguenti il famoso neurologo inglese Head fece un altro tentativo di tradurre in fisiologia il concetto di rimozione mettendolo in rapporto con il controllo «epicritico» delle sensazioni «protopatiche» - prima ancora che l'erronea base di una simile distinzione fosse esposta da Trotter e Davies. L'ultimo importante lavoro dei tre precedentemente citati, pubblicato nello stesso mese di quello che abbiamo or ora considerato, esponeva le opinioni maturate da Freud e da lui espresse davanti alla Società di Psichiatria e Neurologia nel maggio 1896. Egli cominciava col sottolineare che l'origine di ogni sintomo isterico può essere accettata come tale solo se soddisfa due condizioni : deve possedere un carattere determinante sufficiente e la potenza traumatica necessaria. Illustrava quanto sopra con l'esempio del vomito isterico dovuto a qualche esperienza capace di evocare la nausea. Esso è difficile da spiegarsi con una storia di incidente ferroviario, che può soddisfare la seconda condizione ma non la prima, come pure con il fatto di aver mangiato un frutto marcio, che può soddisfare la prima condizione ma non la seconda. La maggior parte delle esperienze alle quali risale la comparsa dei sintomi soddisfano l'una o l'altra delle due condizioni, raramente entrambe, e abbastanza spesso nessuna delle due. In tali circostanze neanche il risultato terapeutico è soddisfacente. Questa è un'altra di quelle situazioni in cui un altro uomo si sarebbe scoraggiato o avrebbe mandato all'aria il lavoro. Invece un certo intuito, basato presumibilmente sulla sua fede nel determinismo delle associazioni mentali, gli disse che la difficoltà della situazione poteva dipendere dal fatto che lo studio dei malati era stato incompleto e che i ricordi ottenuti erano di quel tipo che Freud avrebbe poi definito «ricordi di copertura», dietro i quali si nascondono quelli importanti, ancora sepolti. Questa supposizione si rivelò corretta, e da un esame più approfondito emersero tre fatti: 1. nessun caso d'isterismo si origina da un'unica esperienza; si tratta di una collaborazione tra i ricordi (iperdeterminismo); questo veniva sostenuto come regola assoluta; 2. le esperienze significative sono invariabilmente di natura sessuale e si verificano nella prima infanzia; questo è il primo lavoro in cui Freud parla della vita sessuale infantile; 3. la catena di associazioni è di una complessità quasi incredibile; Freud la paragonava ad un albero genealogico che contenga molti matrimoni fra consanguinei. La cosiddetta esagerazione delle emozioni isteriche è quindi solo apparente: se si risale alla loro origine esse risultano adeguate e comprensibili. Freud osservava pure di aver raggruppato insieme l'isterismo e le altre nevrosi ossessive come «nevrosi di difesa» prima ancora di avere capito la loro etiologia comune nell'infanzia. La differenziazione delle varie affezioni psiconevrotiche e l'isolamento dei fattori che le determinano fu un problema che tenne Freud molto occupato in quegli anni, e al quale egli tornò nel 1912, con un saggio importante. Il 1° gennaio 1896 spedi a Fliess un manoscritto che riguardava principalmente tale problema, e nel quale descriveva quattro tipi di deviazione patologica dell'affettività normale: 1. conflitto (isterismo); 2. rimorso (nevrosi ossessiva); 3. mortificazione (paranoia); 4. dolore (amenza allucinatoria acuta, «amenza di Meynert»). L'incapacità di risolvere in modo soddisfacente questi problemi affettivi dipende da due condizioni necessarie : le esperienze sessuali nell'infanzia. La causa specifica della nevrosi ossessiva è un'esperienza spiacevole (passiva) nella prima infanzia, seguita successivamente da un'altra esperienza piacevole (e di solito attiva). Freud elencava poi le varie manifestazioni di ciascuna delle tre fasi della malattia : la difesa primaria, i sintomi derivanti dal compromesso e le difese secondarie. Nella paranoia il rimorso esiste, ma la carica affettiva spiacevole legata all'esperienza sessuale originaria è proiettata su un'altra persona; e si origina così il sintomo primario della diffidenza. Il «ritorno del rimosso» determina sintomi che hanno un significato di compromesso (distorti), ma essi sopraffanno l'Io e finiscono col determinare quelli che Freud definiva «deliri di assimilazione», nei quali cioè l'Io ha accettato il materiale estraneo. Nell'isterismo l'Io è sopraffatto dal carattere spiacevole delle esperienze originarie, mentre nella paranoia questo è solo un fenomeno terminale. Perciò il primo stadio dell'isterismo può essere definito «isterismo da spavento», in modo da sottolineare l'importanza della forte angoscia nella prima infanzia. In una lettera del 2 maggio 1897 Freud disse di aver capito che nell'isterismo non sono tanto le idee come tali ad essere rimosse, quanto gli impulsi derivanti dalle esperienze primitive. Questa era una concezione veramente dinamica, che adombra già la successiva scoperta dell'Es. Per ora Freud fissava come segue ciò che nelle varie psiconevrosi irrompe nella coscienza e dà luogo ai sintomi : nell'isterismo sono i ricordi, nella nevrosi ossessiva gli impulsi perversi, nella paranoia le fantasie difensive. Nel novembre di quell'anno Freud espresse a Fliess l'idea che la scelta del tipo di nevrosi dipendesse dalla fase di sviluppo nella quale si verificava la rimozione. Due anni dopo (9 dicembre 1899) egli riconobbe che tale scelta dipendeva dall'età del bambino secondo una semplicissima formula, e che la fase dello sviluppo sessuale contava ancora di più. Quest'ultima idea assunse una forma più definita negli anni successivi, ma intanto era chiaro che le psiconevrosi in senso stretto erano connesse con la libido alloerotica, la paranoia invece con quella auto-erotica. In una lettera del 18 novembre 1887 Freud analizzò lucidamente il vero significato che hanno nelle nevrosi i fattori contemporanei, i quali sono stati oggetto di numerosi equivoci, per esempio nel caso di Jung. Freud affermava che la nevrosi scoppia solo quando la libido aberrante (deviata attraverso le esperienze precoci) si fonde con motivi che hanno un valore contemporaneo. Si tratta di un primo abbozzo del concetto che Freud definì in seguito sekundärer Krankheitsgewinn (conquista secondaria della malattia). Quanto alla spiegazione del perché i ricordi di esperienze precoci siano patogeni per alcuni individui e non lo siano per altri, si tratta di un problema connesso con il particolare processo della «rimozione» e con le caratteristiche delle idee inconsce, argomenti che appartengono piuttosto alla psicologia che alla patologia. Tenteremo ora di riassumere il contenuto dei due ultimi capitoli, in modo da passare in rivista le acquisizioni psicopatologiche di Freud negli anni 1889-1897, considerando sia l'aspetto clinico che quello teorico del suo lavoro. Tecnica. Dopo aver curato i malati per circa due anni con le consuete misure neurologiche (riposo, massaggio, idroterapia e stimolazione elettrica), verso la fine del 1887 Freud cominciò ad impiegare sistematicamente l'ipnosi. Insoddisfatto degli aspetti puramente «suggestivi» di essa, riesumò il «metodo catartico» di Breuer verso la metà del 1889. Nell'autunno del 1892 cominciò a fare a meno dell'ipnosi, sostituendola con la «tecnica della concentrazione», facilitata dalla pressione ripetuta sulla fronte dei pazienti. Egli mirava a rievocare i ricordi dimenticati seguendo accuratamente le associazioni fatte dai pazienti a partire dai loro sintomi. L'ipnosi fu definitivamente accantonata dopo il 1896, anno in cui fu usata per la prima volta la parola «psicoanalisi». L'evoluzione di questa tecnica consistette essenzialmente nello spogliare la ricerca dei ricordi dalle originarie condotte del dirigere, sollecitare, suggerire, far domande al paziente, e simili. Fu invece adottato un atteggiamento passivo, e l'unica condotta attiva consisteva nel richiamare di tanto in tanto l'attenzione del paziente sulle associazioni che egli trascurava. Si considerò sempre più la natura della «resistenza» piuttosto che la diretta ricerca dei ricordi. Con queste graduali rifiniture Freud aveva forgiato uno strumento con il quale era in grado di penetrare nei piani inconsci della mente. Nevrosi fisiche. Nel 1892 Freud ne tratteggiò due, sia dal lato sintomatologico che da quello etiologico. Le sue conclusioni furono pubblicate nel 1895. Egli scoprì che la nevrastenia propriamente detta si associava ad una forma inadeguata di sfogo sessuale, e soprattutto alla masturbazione; la nevrosi d'angoscia invece ad una eccitazione sessuale eccessiva, i cui effetti non venivano lasciati arrivare alla coscienza. In quest'ultima nevrosi Freud pensò che l'energia sessuale deviata si trasformasse in angoscia morbosa, e sottolineò l'analogia delle manifestazioni fisiche di essa (palpitazioni, ecc.) con quelle che accompagnano il coito. Psiconevrosi. Freud esordì in questo campo nella scia dei contributi di Breuer e Charcot. Quest'ultimo, sottolineando l'importanza del fattore traumatico, gli rese difficile la percezione degli aspetti dinamici, mentre il primo, mettendo l'accento sugli stati ipnoidi, gli fece comprendere in ritardo il significato dei meccanismi di difesa. Le osservazioni personali di Freud sui fenomeni della «resistenza» e del «transfert» risalgono rispettivamente al 1890 e al 1892. Successivamente egli dichiarò che questi due concetti erano stati il suggello della psicoanalisi. Il contributo più importante e più originale di Freud in questo campo fu la sua scoperta del fatto che le psiconevrosi sono dovute ad una intolleranza dei ricordi riguardanti esperienze sessuali infantili (1894). Questo lo portò qui a mettere in luce la sessualità infantile (1898). Egli trovò che nell'isterismo tali pregresse esperienze erano tipicamente passive, mentre nella nevrosi ossessiva erano attive, e pensò che le prime consistessero in episodi di seduzione da parte di adulti. A metà del 1897 scoprì però che, la maggior parte delle volte, i «ricordi» in questione erano originati da fantasie. Freud riuscì pure a tratteggiare le varie fasi del conflitto tra l'Io ed i ricordi spiacevoli, ed a mettere in rapporto tali fasi con altre, corrispondenti, nello sviluppo delle nevrosi. Psicopatologia teorica. Il contributo più importante dato da Freud in questo campo fra il 1890 ed il 1896 consiste nell'aver capito il significato di quella che egli definì la «difesa» dell'Io cosciente nei riguardi di idee troppo spiacevoli per poter essere sopportate. Ne deriva da un lato l'intera concezione di un inconscio suddiviso in parti e quella delle complesse risultanti del conflitto intrapsichico, e dall'altro lo studio del tipo delle idee inaccettabili e delle ragioni della loro inammissibilità. Nel 1892 Freud si era occupato nei suoi scritti della tendenza della mente a produrre «idee antitetiche» che interferivano con le intenzioni coscienti, ma già prima d'allora egli aveva percepito lo sforzo che i suoi pazienti dovevano fare per vincere l'opposizione al loro tentativo di richiamare alla mente i ricordi dimenticati. Egli aveva definito «resistenza» tale opposizione e, partendo da tale acquisizione, gli fu facile supporre che la resistenza che manteneva i ricordi fuori della coscienza fosse, sotto un altro nome, la stessa forza che ve li aveva inizialmente relegati, e che egli definì dapprima «difesa» e poi «rimozione». L'idea della repressione volontaria sorse a poco a poco. In un primo tempo Freud si era arrovellato intorno al problema del perché la carica affettiva connessa all'idea enucleata dalla coscienza non si scarichi lungo le varie vie consuete, e perché l'esperienza traumatica non venga assimilata. Dipendeva dalla rimozione se in tali circostanze la carica affettiva confluiva in vie di scarico somatiche (conversione) oppure si spostava su altre idee (come nella nevrosi ossessiva). L'idea primitiva di un «trauma» passivamente sofferto, per esempio un tentativo di seduzione sessuale (alla quale Freud restò fedele a lungo a causa dell'insegnamento di Charcot), lasciò il campo, dopo quattro anni, all'intuizione che il paziente fosse personalmente coinvolto nell'esperienza sessuale. Così alla concezione statica ne seguì un'altra dinamica. C'erano desideri e impulsi di cui il paziente stesso era responsabile, e la loro scoperta rese più comprensibile il processo della repressione. La scoperta della natura sessuale delle esperienze dimenticate ne rendeva inevitabile un'altra: quella della sessualità infantile. Nella forma che tale scoperta assunse Freud intravide la «predisposizione» alle varie psiconevrosi (e, in seguito, la formazione del carattere), concetto che fino a quel momento era stato attribuito esclusivamente a fattori ereditari. Un problema restava ancora insoluto : perché il ricordo di un'esperienza doveva restare, a distanza di anni, più patogeno di quanto l'esperienza era stata lì per lì? Freud descrisse allora il processo che definì «ritorno del rimosso» e tentò di spiegarlo in termini di modificazioni quantitative dell'affettività, a seconda delle varie età e delle varie situazioni. Un riassunto così conciso non può dare che una minima idea dell'attività di pensiero che Freud svolse durante quegli anni. Il suo cervello non fu mai tanto attivo come in quel periodo, proprio perché egli non partì da nessuna teoria psicologica definita, ma lottò continuamente per liberarsi dalle concezioni semplicistiche che gli erano state inculcate, o almeno per conciliarle in qualche modo con il panorama più dinamico che gli veniva offerto dalla vita dei suoi pazienti. Il passaggio dalla fisiologia alla psicologia significò molto più che un cambiamento di punti di vista, puramente intellettuale : esso annunciò un'avanzata verso profondità del proprio essere che erano rimaste nascoste per molti anni. La lotta deve essere stata titanica. |